“Quando tutto questo sarà finito…“: un incipit piuttosto utilizzato di questi tempi che prelude ad una serie di propositi e speranze in un post lockdown a quanto pare di là da venire.
“Quando tutto questo sarà finito tornerò a spendere 15 Euro per mangiare un’insalata con un uovo sodo al bar sotto l’ufficio.”
“Quando tutto questo sarà finito riprenderò la macchina per fare 50 km per andare a lavorare e spenderò due ore al giorno in coda in tangenziale.“
“Quando tutto questo sarà finito potrò di nuovo stampare a colori e solo fronte documenti di 250 pagine.“
“Quando tutto questo sarà finito tornerò ad avere la mia scrivania con il mio cactus ultracentenario e gli orpelli inutili accumulati negli anni.”
“Quando tutto questo sarà finito tornerò a fare le stesse cose che facevo prima, come le facevo prima.“
Tutte queste frasi, che apparentemente reclamano un semplice ritorno alla normalità, nascondono al loro interno un’amara constatazione: nonostante la pandemia e la situazione di discontinuità che questa ha generato, continuiamo a non accettare il cambiamento.
È buffo pensare come la razza che ha fatto dell’evoluzione il suo punto di forza in questo momento che richiede un profonda rivisitazione degli assetti organizzativi e sociali decida di puntare i piedi e di non elaborare nuove strategie, nuovi percorsi, nuovi modi di interfacciarsi con la quotidianità.
Smettiamola di raccontarci delle storie: il Covid-19 non è alla base di tutto questo. Tante delle cose che stiamo sperimentando oggi per la prima volta, dallo smart working alle video conferenze,dalla spesa online a forme evolute di ingegneria sociale dovevano essere già parte integrante del nostro quotidiano. Semplicemente le abbiamo continuamente rimandate perché eravamo troppo impegnati a far andare avanti il nostro caro vecchio carretto con le ruote quadrate. “Non possiamo, non abbiamo tempo per cambiare!” dicevamo con tono indaffarato a chi ci suggeriva di fermarci un attimo per cambiare la ruota quadrata con una rotonda.
Poi d’improvviso ci siamo trovati ad avere tutto il tempo di cui avevamo bisogno. E quale è stata la nostra risposta? Semplice: rivolevamo il carretto con le ruote quadrate! Perché ci eravamo affezionati . Perché ci trasmetteva sicurezza. Perché, in fondo, non sapevamo gestire altri tipi di carretto e per farlo saremmo stati costretti ad imparare cose nuove, a padroneggiare degli argomenti che in quel momento non padroneggiavamo. Perché tutto questo richiedeva sforzo e fatica. Quello sforzo e quella fatica che per anni abbiamo rimandato nella speranza di non doverli mai sostenere.
Il mondo che troveremo la fuori, quando tutto questo sarà finito, sarà un mondo molto diverso da quello che abbiamo lasciato qualche mese fa. In parte, in gran parte, lo era già prima che lo lasciassimo, solo che non ce ne eravamo accorti.
Abbiamo ancora tempo per pensare, per ripensare, per ripensarci e per cambiare. Tempo fecondo che potremmo spendere proficuamente sforzandoci di immaginare una versione 2.0 di noi stessi (magari molto diversa da quella attuale) un futuro pieno di sfide nuove e di nuove opportunità, di sogni nel cassetto che erano rimasti li fino ad oggi perché sarebbe stato irragionevole abbandonare la nostra routine e le nostre sicurezze.
Ora che queste sicurezze potrebbero non esserci più sarebbe irragionevole il contrario. E in tutto questo, sperare in un ritorno al passato non ci sarà di grande aiuto.