Baricco, la società civile e la gestione della mutazione (recensione de “I barbari”)

Quando parlo di libri, o anche semplicemente di uno specifico libro come in questo caso, mi piace raccontare non tanto il suo contenuto quanto l’occasione che ha generato l’incontro tra lui e me ed indirettamente tra me e la persona che l’ha scritto.

Si tratta spesso di storie curiose, singolari, originali, che molto spesso hanno a che fare con il caso o con l’entità che si cela dietro questo termine fin troppo abusato.

La storia di oggi però, al contrario di quelle che l’hanno preceduta, non è di per sé particolarmente avvincente. Definirei questa come una “lettura di transizione”, una sorta di passaggio “obbligato” suggerito dall’autore nell’introduzione ad un suo più recente saggio (intitolato “The Game”) in cui sottolinea l’esigenza di novellare e rivedere il lavoro svolto 10 anni prima al momento della stesura di questo “I barbari (saggio sulla mutazione)” che ora si trova sulla mia scrivania.

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Lettura di transizione ma effettivamente necessaria per poter padroneggiare una serie di concetti che costituiscono lo strumento baricchiano di analisi sociale che cerca di dare un’interpretazione fuori dai soliti cliché a questa nostra lunga contemporaneità ed allo scisma temuto e potente tra quella che lui definisce “società civile” e “barbarie”.

Barbari sono i giovani con la loro cultura nozionistica e superficiale e con la totale dimenticanza di un passato sia remoto ma soprattutto (cosa che scandalizza i più) recente. Non solo. Barbari sono anche i tanti che affollano nel weekend i centri commerciali nutrendo forme di socialità deviante o che preferiscono la lettura di un libro scritto da un comico ai grandi classici della letteratura nazionale e d’oltralpe.

Ma più che di barbari in sé, in questo libro si parla di “imbarbarimento” dei gesti e delle consuetudini comuni, di perdita di senso e (cosa che mi ha particolarmente colpito) di perdita di un’anima, di una spiritualità dell’individuo che si è costruita ed evoluta nei secoli e che oggi stiamo gettando alle ortiche come un inutile orpello.

È forse tutta questa indignazione, questa sensazione di pericolo imminente dell’arrivo di un’apocalisse culturale e sociale che probabilmente mi ha attirato e guidato durante tutta la lettura di questo saggio. In fondo, prima di passare attraverso questa lettura, ero fermamente convinto della necessità di contrastare una certa tendenza di azione e di pensiero moderna ma poco radicata in quelli che sono i valori e la storia di un territorio, di un popolo e più di recente di una nazione. È con questo atteggiamento, con questa predisposizione che ho iniziato a leggere “I barbari”: concedendo a Baricco quel beneficio del dubbio che si dà solo agli intellettuali affermati, a quanti dall’alto della loro cultura non potrebbero essere capaci di smentire se stessi e il sistema che li ha generati, sviluppati ed infine consacrati.

Si perché sulle prime il nostro, pur rilevando le problematiche pocanzi menzionate (ed in cui, come si è detto, mi riconosco) si concede a sua volta il lusso di un dubbio socratico che gli consenta di confutare il sentimento comune e nella migliore delle ipotesi di confermarlo. Ed è invece proprio questo dubbio che al tempo stesso fa crollare clamorosamente tutto l’edificio per ricostruirne immediatamente e sorprendentemente un altro.

Non mi dilungo oltre perché vi rovinerei la lettura e vi risparmierei ingiustamente questo utile passaggio, ma posso garantirvi che dalla lettura di questo saggio si esce un po’ cambiati e con un nuovo paio di occhiali per poter dare un’interpretazione diversa della realtà. Consigliatissimo agli “apocalittici” come il sottoscritto, consentirà a questi ultimi di andare incontro al futuro con meno timori e maggiore fiducia e permetterà anche agli “integrati” (come li ha definiti Umberto Eco nel suo omonimo libro) di sentirsi meno soli in questo inizio di un nuovo millennio così uguale ma così profondamente diverso da quello precedente.

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